Condannata l’ex moglie che lascia il cane dell’ex coniuge per due ore sotto il sole in strada
Scenario dell’increscioso episodio, verificatosi alla fine di giugno del 2016, è la provincia sarda. Protagonisti due ex coniugi. Vittima il loro cane, affidato, post rottura matrimoniale, all’uomo, che, in una specifica occasione, passa a casa dell’ex moglie per riprendere il quadrupede e lo ritrova, invece, in strada, esposto al sole, legato al portone – del palazzo in cui vive la donna – e in palese sofferenza.
Inevitabile lo strascico giudiziario, che vede la donna condannata in Tribunale a pagare 700 euro di ammenda per «aver sottoposto a sevizie il cane – un pastore tedesco – legandolo alla ringhiera del portone del suo palazzo ed esponendolo al forte caldo, senza lasciargli da bere». In aggiunta, poi, le viene anche imposto di risarcire l’ex marito, costituitosi parte civile.
Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta la donna prova a ridimensionare i fatti, osservando, innanzitutto, che «il cane era stato lasciato in un luogo noto sia alla donna sia all’ex marito sia ai terzi condòmini dello stabile» e aggiungendo poi che «la veterinaria, che aveva visitato il cane dopo che era stato riaffidato al proprietario, aveva accertato che l’animale era accaldato ma non era in precarie condizioni di salute né disidratato». Errata, quindi, secondo il legale, ipotizzare il «patimento di sofferenze da parte del cane».
A fronte delle obiezioni difensive, però, anche per i magistrati di Cassazione non ci sono dubbi sulla colpevolezza della donna, inchiodata da un quadro probatorio chiarissimo. Nello specifico, difatti, si è appurato che «ella lasciò il cane pastore tedesco, di proprietà dell’ex marito, legato alla ringhiera del portone dell’edificio in cui abitava all’epoca, al sole e per circa due ore, senza accertarsi che vi fosse qualcuno che, in attesa dell’arrivo del proprietario, potesse prendersene cura» e «l’animale venne trovato in stato di ipertermia e con la frequenza respiratoria piuttosto alta (98 contro i 30 normali) e si riprese con una assistenza minima, con una doccia fredda, dopo circa quindici minuti».
Per i giudici «tale condotta, anche sulla base di quanto riferito dalle persone (in particolare una guardia zoofila, che dichiarò che il cane si presentava sofferente) che avevano notato l’animale legato e che lo avevano soccorso su richiesta del proprietario» ha causato «uno stato di sofferenza da abbandono per l’animale», senza dimenticare anche «il rischio» per il quadrupede «di riportare serie conseguenze a causa della esposizione al calore».
A fronte dello stato di sofferenza e di ipertermia del cane, è logico, secondo i giudici, ravvisare «la detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze», con conseguente condanna della donna. Ciò anche alla luce del principio secondo cui «costituiscono maltrattamenti, idonei a integrare il reato di abbandono di animali, non solo le sevizie, le torture o le crudeltà caratterizzate da dolo, ma anche quei comportamenti colposi di abbandono e incuria che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali quali autonomi essere viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore come alle attenzioni amorevoli dell’uomo».
Presidente Galterio – Relatore Liberati
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