L’ex moglie ha diritto a ricevere l’assegno divorzile se ha firmato un accordo recante attribuzioni patrimoniali?
Questo il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con la recentissima ordinanza n. 2111/2024, depositata il 29 luglio 2024, in tema di diritto a ricevere l'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa.
Con sentenza del 2021 il Tribunale di Pordenone, evidenziando che le parti erano separate sin dal 2009, che la moglie nel corso della lunga vita matrimoniale aveva collaborato alle vicende professionali del marito ed al suo successo economico, che con un accordo transattivo sottoscritto nel 2011 le parti avevano diviso il loro patrimonio prevedendo anche un conguaglio a favore della moglie pari ad € 106.000,00, nonché sottolineando che comunque ricorrevano i presupposti per l'attribuzione in favore della donna di un assegno divorzile, dichiarava la cessazione degli effetti civili tra due coniugi e prevedeva in favore della ex moglie un assegno divorzile di € 1.100,00 mensili.
L'ex marito, letta la decisione di primo grado, depositava immediatamente ricorso in appello impugnando la decisione nella parte in cui era stata riconosciuta la spettanza dell'assegno divorzile. La Corte territoriale, espletata una Consulenza Tecnica contabile, respingeva integralmente l'appello dell'uomo. Il giudice di secondo grado, infatti, riteneva che non vi fossero dubbi circa il fatto che la donna avesse sostenuto il marito nella lunga vita familiare, matrimoniale e lavorativa tanto che alla stessa nel 2011, a seguito della separazione, era stato riconosciuto il lavoro svolto e la collaborazione offerta al marito. Secondo la Corte d'Appello poi, la donna non aveva mezzi adeguati per condurre la propria vita e, considerata la disparità reddituale tra le parti, confermava la decisione di primo grado nella parte in cui riconosceva in capo alla donna il diritto a ricevere l'assegno divorzile.
I presupposti per ricevere l'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa
Avverso la decisione di secondo grado l'ex marito proponeva ricorso in Cassazione e, tra i vari motivi di ricorso, lamentava la violazione dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 per avere il giudice di secondo grado del tutto errato la sua indagine sulla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile in capo alla donna, in riferimento alla sussistenza di un divario reddituale tra le parti e alla mancanza di mezzi adeguati. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte d'Appello aveva solo formalmente ripreso le indicazioni giurisprudenziali in materia di assegno divorzile, dando rilievo ad una minima differenza reddituale tra gli ex coniugi e riconoscendo il diritto della donna a ricevere l'assegno mensile fondando la decisione su un generico sostegno familiare ed economico senza però tenere in corretta considerazione gli accordi sottoscritti nel 2011. Tali accordi, infatti, pur non potendo costituire una rinuncia all'assegno divorzile, dimostravano, secondo il ricorrente, la soddisfazione della ex moglie in ordine ad ogni pretesa riferita alla propria partecipazione economica della vita familiare.
Gli Ermellini dichiaravano fondato il motivo di gravame.
La Suprema Corte, infatti, ricordava che ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile, con funzione perequativo-compensativa, è necessario accertare se, al momento dello scioglimento del matrimonio, è presente una rilevante disparità patrimoniale e reddituale tra gli ex coniugi e, qualora sussistente, verificare se tale disparità sia conseguenza dalle scelte relative alla vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio. Il suddetto accertamento, inoltre, deve essere effettuato considerando l'intera vita della coppia e non può prescindere dalla valutazione di eventuali attribuzioni o dazioni che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali del richiedente l'assegno e soddisfatto l'esigenza perequativa.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione evidenziava come il giudice di secondo grado, pur richiamando i principi giurisprudenziali consolidati in tema di assegno divorzile, li aveva attuati in modo errato. La Corte territoriale, infatti, aveva ritenuto esistente uno squilibrio economico reddituale tra le parti ma non aveva accertato se tale squilibrio fosse conseguenza del ruolo endofamiliare assunto dall'ex moglie durante la vita matrimoniale e nemmeno aveva tenuto in debito conto gli accordi transattivi intervenuti a seguito della separazione.
Considerato che l'accordo intervenuto tra i coniugi prima del divorzio aveva il dichiarato fine di definire tutti i rapporti pendenti tra le parti, ove era stato dato espresso rilievo al ruolo svolto e alla collaborazione della moglie all'attività del marito, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto verificare se, a seguito della scrittura privata, vi fosse ancora un significativo squilibrio patrimoniale o reddituale riconducibile al ruolo svolto dalla donna nel corso della vita matrimoniali ovvero se quanto ottenuto dall'accordo aveva già svolto la funzione riequilibratrice tipica dell'assegno divorzile.
Per questi motivi la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell'uomo, nei limiti sopra citatati, e cassato la decisione impugnata, rinviando la causa alla Corte d'Appello di Trieste.
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